Infiniti ed incommensurabili sono gli orrori che riscontriamo nelle nostre vicende quotidiane: essi anziché terminare e finire nel dimenticatoio sembrano rinascere dalle loro stesse ceneri, per poi prendere vita nuova. C’è però una cosa peggiore di tutte le brutture immaginabili dalle quali ci sentiamo coinvolti: il nulla,lo spazio vuoto nel quale terminano molti orrendi accaduti.
Se molte notizie di cronaca infatti trovano un risvolto e una conclusione per poi finire archiviate, ve ne sono tantissime altre che invece vagano sospese in cerca di una verità. È il caso della vicenda accaduta a Iguala, nello Stato di Guerrero, in Messico, dove il 26 settembre scorso, mentre si trovavano in autobus per partecipare a una manifestazione, 43 studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa sono stati rapiti dalla polizia locale in combutta con una gang criminale, i famigerati Guerreros unidos.
Da allora, nonostante le proteste dei parenti dei desaparecidos e le varie mobilitazioni i ragazzi non avevano più dato notizia di sé. Scomparsi. Dissolti nel nulla.
Secondo quanto riferito dal procuratore generale del Messico invece, i 43 studenti sono stati brutalmente uccisi e bruciati vicino a una discarica. I loro corpi privi di vita sarebbero stati gettati nel fiume come foglie morte.
Il procuratore per confermare la veridicità di quanto espresso avrebbe anche mostrato un video in cui si vedono centinaia di frammenti di ossa e denti carbonizzati recuperati dal fiume. Sarà molto difficile, ha affermato Murillo Karam, estrarre il Dna per confermare l’identità delle vittime dell’omicidio di massa e dell’incenerimento, che sarebbe durato 14 ore. I presunti assassini avevano ammassato i corpi sopra un mucchio di pneumatici e legna, versandoci sopra del carburante. Un gesto che di solito si riserva agli scomodi e maleodoranti rifiuti organici.
Appare dunque comprensibile l’incredibilità dei genitori dei desaparecidos dinnanzi all’enorme brutalità dei fatti : «In quanto genitori degli studenti, non accettiamo in nessun modo quanto ha detto il procuratore, perché tra l’altro lui stesso dice che non ha la certezza che sia la verità. Vogliamo risultati, ma con prove».
Dietro le spesse cortine di mistero che avvolge la vicenda si ritiene vi sia un unico responsabile: il sindaco di Iguala Jose Abarca. Il motivo per cui avrebbe fatto rapire i 43 studenti normalistas è drammaticamente grottesco: non voleva che i ragazzi potessero interrompere il comizio della moglie, Maria de los Angeles Pineda Villa, anche lei finita sotto arresto, imparentata con il cartello dei Beltran Leyva e degli stessi Guerreros. È stato lui a dare ordine via radio alla polizia municipale di Iguala e agli uomini della gang di attaccare l’autobus su cui stavano viaggiando gli studenti di Ayotzinapa.
È una storia esemplare di quello che può accadere in uno degli Stati più violenti di tutta la federazione messicana, venuta alla luce solo grazie alla rabbia dei parenti dei ragazzi e alla tardiva indagine della polizia federale: i narcos, lungi dall’essere altro rispetto alla politica locale, erano arrivati a mettere i loro uomini ai vertici dell’amministrazione, come lo stesso Abarca, sospettato ora di aver anche versato in passato forti somme di denaro ai gruppi criminali.
Una cupola di potere, insomma,che continua a macchiarsi di orrendi crimini di stato, secondo anche Amnesty International. Ma seppur le voci degli scomparsi non abbiano la possibilità di risuonare nell’aria, riecheggiano ancora le grida di coloro che non si arrendono di fronte all’assurdo epilogo di una storia ai limiti del surreale.
Anna Ruocco
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