Un dramma di istinti, grigio nel suo tono come nel significato più profondo, quello della “Signorina Giulia”, tragedia svedese in atto unico in scena al Mercadante dal 13 al 31 gennaio 2016 per la regia di Cristiàn Plana.
Lo spazio scenico è adattato a quello di una tetra cantina da Angela Gaviraghi , curatrice anche dei costumi, rivisitati in un eccentrica linea moderna. Il tradizionale dramma dell’autore August Strindberg, si distanzia nella versione di Plana dal mero scontro fra classi sociali e sessi opposti quale fu ideato nel 1888. La tragedia nasce come lotta feroce fra istinti elementari, senza alcun ideale più profondo ad illuminare il contesto. La storia della contessina Giulia cela ad un’analisi più profonda la complessità che motiva le scelte e gli atteggiamenti altalenanti e autodistruttivi della ragazza, interpretati tramite due stili recitativi differenti fra la prima e la seconda parte del dramma da Giovanna Di Rauso. La venticinquenne figlia di un conte approfitta dell’ebrezza e della perversione autorizzata dalla notte di San Giovanni per sedurre un suo servitore, ma finisce da seduttrice a sedotta. Jean, rappresentato da un Massimiliano Gallo molto a suo agio nel ruolo, da cinico arrivista qual’è, coglie immediatamente nella situazione la sua possibilità di emergere, di evolversi economicamente da servitore a padrone. La sua nuova amante può procurargli il denaro necessario alla fuga, ai viaggi, all’apertura di un’ albergo. Giulia, dal canto suo, sembra perdere ogni potere decisionale. Soggiogata quanto affascinata dall’idea di lasciarsi gestire, discontinua nelle sue opinioni e decisioni, non è più in grado di optare per alcuna scelta, e si abbandona nelle mani del suo amante. Strindberg ideò l’opera come un’esplicazione della lotta fra sessi e fra classi, discorso che risulta anacronistico per lo spettatore moderno. Pertanto Plana ha rivisitato la sceneggiatura, senza privarla dei contenuti salienti, ma concedendole alcuni aspetti di modernità coerenti con il testo originale: il gioco fra Jean e Giulia sembra essere una compiaciuta ricerca del fare e farsi del male, senza riuscire a sfuggire ad una vita insoddisfacente per entrambi. La contessina, discendente da una stirpe di guerrieri, si sente, dopo essersi, seppur volutamente, concessa, ormai deturpata; la medicazione che porta sul ginocchio è la trasposizione scenica dei segni della “caduta” della sua reputazione. Privata del suo onore da quel ricercato atto di libertà sessuale, Giulia è la dimostrazione di quanto, in questa lotta fra aristocrazia e servitù, uomo e donna, la vittoria non sia un diritto, fra gli altri, del più nobile, ma una conquista del più cinico, crudele, spietato, asentimentale; secondo una sovversione del tipico classismo ottocentesco che l’autore analizza acutamente. Alla protagonista tocca un ruolo tragico che tristemente non la erge mai ad eroina. Giulia infatti, è vittima e non carnefice, quale vorrebbe disperatamente di diventare. E’ vittima della madre che le ha insegnato a disprezzare gli uomini, è vittima del suo stesso disprezzo verso il genere maschile che cela in realtà un desiderio di quel potere che all’uomo spetta di diritto e che lei nonostante la sua classe sociale non può ottenere, è vittima dell’odio verso Jean in quanto uomo e del desiderio di potere su di lui in quanto servo. E’ vittima fino a non saper neanche più disporre della sua vita, fino a lasciarla nelle mani di un meschino lacchè mangiato dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla foga di emergere e dal senso di colpa misto a soddisfazione per il disonore arrecato alla figlia del suo padrone. La vergogna della sua concessione carnale è solo la goccia che porterà il suo traboccante vaso al tragico e consapevole epilogo. Epilogo che Strindberg vide come il più ovvio secondo la legge del destino e dell’universo che regola il suo dramma naturalista, filosofia che prevede che la psicologia umana debba considerarsi alla stregua dei fenomeni della natura, in quanto entrambi accadono secondo lo stesso binomio causa-effetto. Terzo ed ultimo personaggio quello di Kristina, cuoca della casa nonché fidanzata di Jean, interpretata da un’austera Autilia Ranieri. Per l’indole pacata e rassegnata, Kristina contrasta l’irrequieto animo di Jean; non sembra presentare profonde sfumature psicologiche e drammi interiori, serena nella sua consapevolezza di non poter chiedere niente alla vita che non sia legato alla sua classe di appartenenza, caratterizzata solo dalla cieca fede dove trova contrappasso per la sua condizione di inferiorità sociale. Audio e luci in alcune scene molto forti suggeriscono la suggestione preparatoria necessaria agli eventi gravosi in arrivo.
Letizia Laezza
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