Finalmente l’Iran è tornato ad affacciarsi al mondo dopo decenni di chiusura e di sanzioni che hanno minato pesantemente la sua economia. Poco meno di un anno fa, a Losanna, si è raggiunta un’intesa preliminare, seguita il 14 Luglio 2015 dall’accordo vero e proprio, il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), che sta cambiando positivamente il rapporto tra la Repubblica Islamica e l’Occidente, primi fra tutti gli Stati Uniti di Barack Obama, forti sostenitori del riavvicinamento.
Dopo due lunghi anni di mediazione, quindi, il 7 Aprile dello scorso anno l’Iran, guidato dal 2013 da Hassan Rouhani, e i Paesi del 5+1 (5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU cioè Cina, Usa, Francia, Gran Bretagna e Russia, più la Germania) hanno siglato a Losanna un accordo preliminare importante per i nuovi equilibri internazionali e per la fuoriuscita dell’Iran stesso dall’isolamento in cui era stato rilegato in seguito alle sanzioni che l’hanno colpito.
I punti cardine di questo accordo, poi ratificato a Luglio, sono:
– limitazione del programma nucleare per 15 anni. Non si potranno costruire nuove centrali nucleari nel Paese e per motivi di trasparenza ci saranno ispezioni per 15 anni, mentre per il controllo sulla catena di rifornitura dell’uranio le ispezioni dureranno 25 anni. Inoltre l’Iran rimarrà membro del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP).
– il numero di centrifughe da ridurre. La quota totale di centrifughe, che si aggira intorno alle 20 mila unità, secondo gli obiettivi fissati, deve essere diminuita a 6 mila ed è possibilile utilizzare solo il modello IR1, perché meno efficiente e lento rispetto al modello IR2M. Inoltre l’Iran sarà impossibilitato a proseguire le ricerche su centrifughe più avanzate: le IRM2, IR4, IR5, IR6, IR6s ed IR8. Quelle in eccesso (circa 13 mila) devono essere prese sotto il controllo della IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.)
– le scorte di materiale a basso arricchimento tagliate a 300 Kg. Secondo le stime, il materiale a basso arricchimento in possesso dell’Iran era sufficiente a creare almeno 6 bombe, qualora fosse stato ulteriormente arricchito. Con l’accordo la quantità è stata portata a 300 Kg, insufficiente a creare un’arma nucleare. Il restante del materiale può essere “eliminato” attraverso tre strade: 1) dandolo in consegna alla Russia; 2) diluendo il materiale per riportarlo all’uranio naturale; 3) rivendendolo sul mercato. L’Iran si è impegnato, quindi, a diluire la metà della sua riserva di gas arricchito al 20% e a convertire l’altra metà in polvere combustibile per fabbricare piastre usate per la ricerca (obiettivo raggiunto il 30 giugno 2015).
– sito di Fordow (semi-nascosto tra le montagne) depotenziato, tramite l’eliminazione di 1800 centrifughe sulle 2710 presenti inizialmente. Nessun materiale fissile (materiale in grado di sviluppare una reazione a catena di fissione nucleare) può rimanere nella struttura, impedendo, anche, qualsiasi forma di ricerca sull’uranio per 15 anni. (Per maggiori informazioni cliccare qui)
Secondo questo accordo le sanzioni economiche potevano essere eliminate solo una volta raggiunti questi obiettivi, e nel caso di violazioni sarebbero state prontamente reintegrate. Sulla base di un resoconto della Casa Bianca, il 16 Gennaio 2016 l’Iran ha raggiunto gli obiettivi preliminari che erano stati fissati. (Per maggiori informazioni cliccare qui) Obiettivi, questi, importantissimi per creare il clima di fiducia tra le parti necessario al raggiungimento del traguardo prefissato. Secondo il governo americano Teheran in questi sei mesi avrebbe:
– spedito 25 mila libbre di uranio arricchito fuori dal Paese,
– smantellato due terzi delle sue centrifughe,
– rimosso la calandria (nocciolo) dal reattore ad acqua pesante per riempirlo, poi, di calcestruzzo,
– fornito accesso ai suoi impianti nucleari e alla catena di fornitura.
Grazie a questi sforzi sarà possibile passare alla seconda fase della JCPOA, vale a dire l’eliminazione delle sanzioni.
L’Occidente si ripropone di non imporre nuove sanzioni legate al nucleare per 6 mesi; sospendere le sanzioni sugli scambi in oro e metalli preziosi, sul settore automobilistico e sulle esportazioni petrolchimiche, assicurando all’Iran circa 1,5 miliardi di dollari di fatturato potenziale; consentire che le acquisizioni di petrolio iraniano rimangano sui livelli attuali; permettere le riparazioni e le ispezioni di sicurezza all’interno dell’Iran ad alcune compagnie aeree nazionali; consentire il trasferimento di 400 milioni di dollari in assistenza dai fondi iraniani alle istituzioni scolastiche e universitarie riconosciute nei paesi terzi per coprire i costi di iscrizione degli studenti iraniani.
Restano in vigore, invece, le sanzioni per quanto riguarda la politica iraniana su:
– tecnologia missilistica;
– la sua influenza nella destabilizzazione della regione (primi fra tutti Yemen e Siria);
– diritti umani e censura;
– la sponsorizzazione di cellule terroristiche (Hezbollah in primis).
Importante, a questo punto, è chiedersi cosa comporterà nello scenario internazionale questa riapertura alle relazioni con Teheran. Un assaggio lo abbiamo avuto pochi giorni fa con la visita di Rouhani in Italia che ha portato ad un accordo di 17 miliardi di investimenti che faranno bene alle economie di entrambi i Paesi.
Molti analisti, inizialmente, avevano pronosticato un possibile cambiamento nei già precari equilibri mediorientali eppure l’Iran non ha favorito trasformazioni significative, soprattutto nella situazione siriana. La lotta tra l’Arabia Saudita sunnita, sponsor ufficioso (nemmeno tanto) dell’Isis, e l’Iran sciita che appoggia il governo di Assad, sta infatti continuando a perpetrare l’immane tragedia che tutti noi conosciamo. Situazione da cui escono sicuramente forti i gruppi terroristici, Califfato in primis.
Molti sono gli scettici che temono un falso tentativo di apertura da parte del governo iraniano, tuttavia l’economia della Repubblica Islamica nel tempo potrebbe rafforzarsi e diventare sempre più interdipendente con quella di altre Nazioni, motivo per cui una eventuale diserzione dall’accordo sul nucleare comporterebbe, in termini economici, un costo elevatissimo.
Martina Shalipour Jafari
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