L’Egitto a 5 anni dalla Primavera Araba. Qualcosa è cambiato?

Sono da poco trascorsi 5 anni dall’inizio della Primavera Araba, quella ventata di rivoluzione che ha attraversato tutto il Nord-Africa e parte della penisola arabica, che puntava ad instaurare nuove democrazie lì dove per decenni i Ra’is avevano tenuto in scacco intere popolazioni. Ma cosa è cambiato davvero in questo arco di tempo? Tutti i buoni propositi sembrano essere crollati di fronte ad una tradizione politica e culturale che si dichiara nemica della democrazia. Ma facciamo un passo indietro per vedere come tutto ha avuto inizio.

Proteste di Piazza Tahir - Gennaio 2011

Proteste di Piazza Tahir – Gennaio 2011

Era il 18 Dicembre 2010 quando Mohamed Bouazizi, attivista tunisino, si diede fuoco in segno di protesta contro i maltrattamenti subiti da parte della polizia. Da lì in poi una escalation di violente manifestazioni si è innescata in tutta l’area investendo anche l’Egitto, governata da trent’anni da Hosni Mubarak, con l’intento di chiedere finalmente un cambio di marcia. Libertà ai detenuti politici, liberalizzazione dei media, lotta alla corruzione ed ai privilegi della ristretta casta al comando: queste le richieste di Piazza Tahrir, centro delle proteste dei giovani egiziani. Per la prima volta i giovani musulmani, perlopiù appartenenti alla classe media, si uniscono per lottare per i loro diritti, per dire no alla povertà, alla stagnazione economica del loro Paese e per gridare a gran voce un miglioramento delle condizioni di vita. Fondamentali sono stati i social network: Facebook e Twitter, nonostante i tentativi del governo di oscurarli, riescono a sostenere la lotta delle Piazze.

“Il potere logora chi non ce l’ha”, così diceva qualcuno e non esiste espressione migliore per spiegare gli sforzi messi in piedi da Mubarak nelle ultime ore del suo governo. Diciotto giorni di lotte hanno tenuto in scacco l’intero Egitto. Suez, Il Cairo, il Sinai, Alessandria, si sono ribellate ad un governo che da troppo tempo li bloccava. Secondo il quotidiano britannico The Telegraph, citando un documento segreto di WikiLeaks, ci sarebbe stata un’ingerenza del governo statunitense nel tentativo di deporre il Ra’is. Sembra infatti che gli USA abbiano impiegato tre anni per negoziare con i presunti capi della rivolta. Realtà o finzione che sia, il governo di Washington è stato fondamentale nel mettere pressione sul Presidente egiziano che, l’11 Febbraio, si è visto costretto a lasciare il comando che era stato suo per 30 anni a favore del Consiglio Supremo delle forze armate, composto da 18 membri con a capo Mohammed Hoseyn Tantawi.

Mohamed Morsi

Mohamed Morsi

Con le elezioni presidenziali del 2012 viene nominato Mohamed Morsi, primo Presidente eletto democraticamente in Egitto, appartenente al gruppo dei Fratelli Musulmani i quali, insieme al Movimento 6 Aprile, sono stati i maggiori fautori della caduta di Mubarak. Tuttavia è stato proprio il suo legame al gruppo islamista a causargli la maggior parte dei dissensi, fino alla sua caduta, il 3 Luglio 2013 e la successiva sentenza di condanna a morte nel Maggio 2015. Il suo programma puntava alla creazione di uno Stato “non teocratico” che però facesse riferimento alla shari’a, oltre a dar maggior importanza al ruolo politico e sociale delle donne. Niente, però, è cambiato dal punto di vista economico. Il crollo del settore turistico, seconda fonte di introiti egiziana dopo quella petrolifera, ha messo ancora più in ginocchio un Paese già fortemente destabilizzato socialmente ed economicamente.

Attuale Presidente egiziano: Generale Abdel Fattah al-Sisi

Attuale Presidente egiziano: Generale Abdel Fattah al-Sisi

Purtroppo, però, il suo mandato è durato poco più di un anno. A pesare le numerose proteste di piazza dei cittadini, molti dei quali  non abbracciavano l’orientamento politico-religioso del Presidente. Nel Luglio 2013, come già anticipato, Morsi viene deposto in seguito ad un Colpo di Stato ad opera di una giunta militare guidata dall’attuale Presidente egiziano, il Generale Abdel Fattah al-Sisi. Seguono momenti difficili per il Paese. Arresti degli esponenti dei Fratelli Musulmani si susseguono ininterrottamente, la Costituzione viene sospesa e Morsi viene messo sotto processo con l’accusa di spionaggio ed istigazione alla violenza. Il 4 luglio Adly Mansour, presidente della Suprema corte costituzionale egiziana, viene nominato presidente ad interim fino alle successive elezioni del Giugno 2014 in cui Al-Sisi viene nominato nuovo Presidente dell’Egitto.

Il nuovo governo sembra aver fatto degli importanti passi avanti in termini economici per risollevare l’Egitto, cercando anche delle partnership con Paesi esteri, come è avvenuto con la Russia per la costruzione di un secondo canale di Suez, ma bisogna segnalare anche il sistema estremamente repressivo che si sta attuando nei confronti della popolazione. Il nuovo Presidente vuole affermarsi come l’uomo forte, vuole mostrarsi al mondo come la persona giusta per dare stabilità ad un Paese che dallo scoppio della Primavera Araba non  trova pace. Tutto a discapito, ovviamente, delle libertà individuali.

Secondo i rapporti di Amnesty International, sotto la guida di Al-Sisi i diritti umani hanno subito un rapido deterioramento.  Migliaia sono gli episodi di tortura ed uccisioni ad opera della polizia e terribili sono le modalità in cui vengono perpetrate. “Amnesty International ha raccolto prove schiaccianti sulla regolarità con cui la tortura viene praticata nelle stazioni di polizia e in centri non ufficiali di detenzione, soprattutto ai danni di membri e simpatizzanti della Fratellanza musulmana. A torturare sono le forze di polizia e i militari, anche all’interno di strutture dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, in molti casi con lo scopo di ottenere confessioni o costringere i detenuti ad accusare altre persone. Tra i metodi di tortura, alcuni erano usati dalle forze di sicurezza durante l’era Mubarak: le scariche elettriche, lo stupro, la sospensione del detenuto con le mani ammanettate e “lo spiedo” (mani e piedi del detenuto vengono legate a una sbarra di ferro tenuta sospesa tra due sedie, fino a quando gli arti s’intorpidiscono; a quel punto, vengono usate le scariche elettriche)“. (Per maggiori informazioni clicca qui)

Probabilmente la paura della Piazza, il rischio che una nuova Primavera Araba, magari più forte e rivoluzionaria della prima, possa abbattersi di nuovo sul suo governo, porta il Presidente ad adottare queste misure. Forse i suoi timori sono fondati, l’onda di protesta non si è ancora affievolita, o forse no. Sta di fatto che in Egitto, ora, in questo momento, si stanno perpetrando delle violenze che non sono tollerabili. L’opinione pubblica internazionale è stata ferma a guardare, mascherata dal velo di indifferenza del “questo non è un nostro problema“. Peccato, però, che poche settimane fa la questione è tornata bruscamente al centro del dibattito con la morte di Giulio Regeni. Staremo ancora a guardare?

Martina Shalipour Jafari

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