“Joint Action Plan”: l’accordo UE-Turchia che svende l’identità europea

Da qualche settimana, precisamente il 18 Marzo 2016, è stato siglato un accordo tra Unione Europea e Turchia circa la gestione degli immigrati. E’ ormai noto che la rotta Balcanica sia diventata la strada prediletta di siriani e non per raggiungere l’Europa passando per Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria ed Austria, ma la situazione è degenerata da tempo. Troppe le vittime di naufragi a causa delle condizioni climatiche avverse o del pessimo stato delle barche utilizzate per la traversata. Una fuga, a cinque anni dall’inizio del conflitto siriano, che non conosce crisi e che non è più tollerabile.
12919166_10208947035300936_1548817629_nE’ sulla base di questi presupposti, a seguito della forte pressione dell’opinione pubblica  e degli Stati maggiormente interessati dai flussi migratori, Italia e Grecia, che finalmente i vari Stati Membri si sono attivati per un cambio di rotta. Quest’ultimo accordo bilaterale, UE-Turchia, non è che l’ultimo di una lunga serie di incontri che ha dato vita, nel Novembre scorso, anche al Joint Action Plan, e che vuole minare il business dello sfruttamento dei migranti disincentivando la ricerca di nuove vie irregolari per entrare in Europa, sempre in accordo con il diritto internazionale.

Nello specifico i punti fondamentali sono:

1) Tutti gli immigrati irregolari in transito tra Turchia e isole greche a partire dal 20 Marzo saranno rimpatriati in Turchia,.
2) Per ogni siriano riportato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà ricollocato in Europa.
3) La Turchia si impegna ad adottare ogni misura necessaria a prevenire l’apertura di nuove rotte su mare e terra per l’immigrazione irregolare dalla Turchia verso l’EU.
4) Una volta che quest’ondata di immigrazione irregolare sarà finita, o sarà molto ridotta, sarà attivato un sistema di aiuti umanitari.
5) L’accelerazione dell’abolizione del visto per i cittadini turchi entro la fine di Giugno 2016 (la Turchia, da parte sua, dovrà seguire tutti gli step necessari per soddisfare i requisiti rimanenti.)
6) L’UE darà un’accelerata per quanto riguarda la concessione dei 3 miliardi di euro per il Fondo per i Rifugiati in Turchia. Si conta la possibilità di aumentare, nel frattempo, i finanziamenti del Fondo ad un massimo di altri 3 miliardi entro il 2018, nel momento in cui le azioni verranno messe in atto.
7) UE e Turchia stanno considerando la possibilità di compiere un aggiornamento dei termini sull’unità doganale.
8) Il processo di adesione riceverà nuovi impulsi con il capitolo 33 che sarà aperto durante la Presidenza del Consiglio europeo da parte dell’Olanda.
9) UE e Turchia lavoreranno per migliorare le condizioni di vita in Siria.

Questi punti si vanno ad inserire in un panorama più vasto di indicazioni e regolamenti dettati dall’Unione per cercare di rendere il quadro preciso e ben regolamentato. Infatti, in seguito all’incontro dei Capi di Stato e di Governo del 7 Marzo si è deciso di rafforzare e migliorare la funzionalità degli hotspots, di dare maggior supporto al Libano e alla Giordania, di rafforzare la collaborazione coi Paesi Balcanici, di spronare le Banche a presentare entro Giugno un piano di finanziamento per supportare la crescita sostenibile e lo sviluppo di strutture di vitale importanza nelle aree meridionali dell’Unione e nei Balcani e di spingere la Turchia a fare passi importanti verso una maggiore democrazia iniziando a rispettare i diritti fondamentali, primo fra tutti la libertà di espressione.

12941170_10208947038781023_377278405_oObiettivi ed aspettative importanti quelle europee che, però, non sembrano tenere sufficientemente in conto le recenti vicende turche. Dal momento della fondazione dello Stato turco moderno, risalente al 1923, con la proclamazione della Repubblica Parlamentare, per rendere il Paese indipendente dagli ostracismi religiosi si era intrapreso un percorso di laicizzazione. Negli anni ’90, data la volontà di entrare a far parte dell’Unione Europea, sono state messe in atto innumerevoli azioni per soddisfare tutti i requisiti necessari. Eppure, con l’attuale Presidente, Recep Tayyip Erdoğan, stiamo assistendo ad un percorso inverso. Dopo la sua diretta elezione alla presidenza del Paese nel 2014 (la prima della loro storia) Erdoğan sembra voltare le spalle all’Europa. Appartenente ad un partito islamico, l’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), rifiuta l’invito dell’Unione a riconoscere il genocidio degli armeni del 1915-17 utilizzando queste parole «qualunque decisione presa dal Parlamento europeo mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro». E non bisogna dimenticare le dure repressioni a cui assistiamo da alcuni mesi in materia di libertà di espressione, con la chiusura delle redazioni dei giornali di opposizione e il blocco delle proteste di piazza.

Tuttavia, nonostante i moniti dell’Europa, non sembra esserci stato un cambiamento. Cambiamento che invece dovrebbe essere indispensabile. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea infatti, tramite alcuni degli articoli più importanti, sancisce e difende la nostra identità:

-l’Art. 2 sancisce il diritto alla vita e nessun uomo può essere condannato alla pena di morte o giustiziato;
-l’Art. 4 proibisce la tortura ed altri trattamenti inumani e degradanti;
-l’Art. 10 proclama la libertà di pensiero, di coscienza e di religione
-l’Art. 11 proclama libertà di espressione e d’informazione;
-gli Artt. 18 e 19 sanciscono il diritto d’asilo e la protezione in caso di espulsione, allontanamento ed estradizione. (Per maggiori informazioni cliccare qui)   

Diritti, questi, spesso calpestati non solo dalla Turchia, ma anche da altri Paesi già appartenenti all’Unione Europea. Il problema dell’immigrazione, soprattutto dallo scoppio del conflitto siriano, ha fatto innalzare muri ed ha permesso la chiusura di molte porte, come quelle d’Ungheria. Solo Grecia ed Italia, nonostante le grandi difficoltà economiche ed organizzative, sono sempre riuscite a dare una risposta al problema, non abbandonando mai la responsabilità che il rispetto di questi principi ci impone di avere. Responsabilità che ora, con questo accordo, stiamo cedendo ad Erdoğan.

La domanda che allora mi pongo, e su cui vi invito a riflettere, è la seguente: possiamo ancora ritenerci Europa se pur di eliminare il problema dell’immigrazione siamo pronti a tradire la nostra identità democratica e i nostri principi fondanti in cambio della collaborazione di uno Stato, la Turchia, che non li rispetta?

Martina Shalipour Jafari

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