Che il disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba fosse nell’aria si avvertiva già da dicembre 2014, quando il presidente Barack Obama aveva annunciato la volontà di porre fine all’embargo nei confronti dell’isola caraibica che si protrae dalla rivoluzione castrista terminata nel 1959 (anche se solo il Congresso potrà votare a favore di questa rimozione).
In questa occasione entrambi i presidenti avevano ringraziato pubblicamente Papa Francesco che nei mesi precedenti aveva mediato per il riavvicinamento tra le due nazioni con diverse lettere segrete indirizzate sia ad Obama che a Raul Castro.
A luglio scorso, poi, la riapertura delle due ambasciate nelle rispettive capitali lasciava presagire che le relazioni diplomatiche tra i due paesi avrebbero iniziato a ristabilirsi dopo la crisi missilistica del 1961.
A fine anno, inoltre, un altro importante passo in avanti è stato compiuto verso la normalizzazione dei rapporti tra USA e Cuba: dopo 50 anni, infatti, era stato siglato un accordo che prevedeva il ripristino dei voli commerciali tra i due paesi (anche se i voli turistici per Cuba continuavano ad essere vietati dalla legge americana).
A metà febbraio, infine, arriva la notizia che conferma tutti gli sforzi che sono stati fatti in questi anni: il 21 ed il 22 marzo il presidente americano Barack Obama sarà in visita a Cuba; sono passati 90 anni dall’ultima volta che un presidente degli Stati Uniti si è recato in visita a Cuba, allora fu Calvin Coolidge che sbarcò da un incrociatore militare per prendere parte alla VI Conferenza Panamericana.
Sebbene la visita a Cuba fosse generalmente apprezzata per le conseguenze politiche e sociali che avrebbe comportato, c’è da dire, però, che non tutti gli esponenti politici hanno visto di buon occhio le intenzioni di Obama: Paul Ryan, lo speaker della Camera dei rappresentanti statunitense, ha affermato che il viaggio di Obama legittima la tirannica dittatura cubana e che al momento attuale un simile atto di apertura è troppo prematuro. Punto forte della visita di Obama a Cuba, naturalmente, è stato l’incontro con il presidente Raul Castro al Palazzo della Rivoluzione de L’Avana dove, per la prima volta, è risuonato l’inno americano al passaggio del presidente statunitense.
Nel colloquio sono stati toccati diversi argomenti, tra cui l’embargo (“ C’è un crescente interesse al Congresso americano sul tema della revoca dell’embargo. Non so quando, ma finirà” ha affermato Obama), la tutela dei diritti umani (“Nessun Paese al mondo rispetta tutti i 61 diritti umani, mentre Cuba ne rispetta 47. Non
possiamo politicizzare il tema dei diritti umani” ha affermato Castro) e la restituzione a Cuba del territorio occupato dalla base militare di Guantanamo.
Interessante, inoltre, un’altra problematica cubana evidenziata da Obama e destinata a risolversi: dal momento che il regime di Castro è noto per la forte limitazione applicata alla libera diffusione dell’accesso internet, il presidente americano ha promesso di trovare un accordo tra Google e le autorità de L’Avana affinché siano sviluppati wi-fi e banda larga sull’isola.
Di un simile pensiero è anche il candidato repubblicano alle presidenziali Marco Rubio, di origini cubane, che avrebbe accettato una visita a Cuba solo se quest’ultima fosse stata una nazione libera.
Citando le parole di Obama, comunque, questo evento è il preludio di un nuovo giorno per gli Stati Uniti e Cuba ed è auspicabile che i due paesi possano superare questi storici conflitti in vista di una sempre maggiore apertura al confronto politico, economico e sociale.
Gianluca D’Andrea
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