(Editoriale pubblicato anche sull’edizione nazionale del Corriere Quotidiano)
Spesso è la “credibilità internazionale” ad essere invocata con vigore bipartisan per incoraggiare l’adozione di decisioni necessarie, eppure quanto visto in questi giorni in Parlamento se può rovina ancor più l’immagine già sbiadita che si ha all’estero del nostro Paese.
Italia politicamente poco autorevole non per i suoi iter istituzionali, come una tesi molto in voga pre/post referendum del 4 dicembre voleva e vuole far credere, ma per l’incapacità della sua classe dirigente di concepire ed elaborare programmi e proposte che sappiano andare oltre la strumentale lettura dell’immediato e di guardare al medio/lungo periodo prescindendo da valutazioni elettorali e richiami populisti.
Siamo dunque nel momento in cui il mero egoistico calcolo strategico prevale sull’interesse collettivo, in cui ogni forza politica è autoreferenzialmente disposta a sacrificare qualsiasi cosa pur di vincere – o NON far vincere – le elezioni, esattamente come farebbe il personaggio Frank Underwood interpretato da un magistrale Kevin Spacey nella celebre serie “House of Cards”.
Del resto è quanto si evince dal bizzarro dibattito sulla legge elettorale, che nonostante la sua importanza vitale per l’assetto istituzionale, la stabilità e l’efficienza del Paese, continua ad essere affrontato con superficialità e inadeguatezza disarmanti, come se le conseguenze di uno stallo fossero accettabili o meno solo a seconda dei sondaggi sulle intenzioni di voto.
All’indomani delle dimissioni di Renzi da “Primo Ministro”, in un diverso editoriale (clicca qui), mi appellavo – per uscire dalla crisi – alla ragionevolezza e al senso di responsabilità dei diversi partiti, sconsigliando di andare (inutilmente) alle urne prima di aver costruito un contesto che evitasse al prossimo governo le medesime precarietà che ormai da anni contribuiscono a rallentare il sistema Paese. Chiaro era il rimando a una definitiva riforma del sistema elettorale, attesa da oltre dieci anni e che visti gli attuali equilibri non può tuttora essere saggiamente realizzata senza un valido dialogo tra le parti. Congiuntura, che aggiungo, con soggetti politici di spessore poteva dimostrarsi una proficua occasione, anzichè un limite come continua invece a rivelarsi. Il confronto di questi giorni pare essere stato infatti solo apparente, forse elemento di una vasta tattica per cercare di acquisire consenso facendo ricadere sull’avversario le colpe dell’epilogo inconcludente. Certo è che si è nuovamente ai blocchi di partenza, con il Presidente Mattarella ad esprimere motivata preoccupazione per un’impasse pericolosa e l’inasprimento dei toni cui mai si abitua chi ha cultura istituzionale.
In conclusione la classe politica italiana si mostra ancora una volta poco lungimirante, irresponsabile e provincialotta, clamorosamente non in grado – con questa impostazione – di occupare i grandi spazi creatisi con gli stravolgimenti dello scenario internazionale e che potrebbero rappresentare l’opportunità di un ruolo da protagonista per il nostro Paese.
Se un nuovo accordo ci sarà sulle regole elettorali lo vedremo nelle prossime settimane, l’auspicio resta quello di un lavoro condiviso basato non su proposte comode esclusivamente per chi le presenta, ma sull’opzione più adatta per il futuro dell’Italia. Solo così, guardando oltre – e non “in funzione de” – le prossime elezioni, riusciremo ad arginare i populismi e a riacquisire credibilità verso i nostri partners stranieri, gli investitori e soprattutto nei confronti di quell’elettorato, consapevole e moderato, sempre meno rappresentato e sempre più vicino a un astensionismo critico in progressiva e preoccupante crescita.
Salvatore Salzano
© Riproduzione riservata