Scrivere, o parlare, sull’onda di un’emozione, non è una cosa che sono solito fare, perché è chiaro che le riflessioni che partorisci dopo aver saputo dell’uccisione di un ragazzino, sono figlie di rabbia, dolore, per alcuni comprensibilmente di odio, certamente non di lucidità.
In ogni caso, a prescindere da ogni valutazione o interpretazione, i fatti di ieri notte del Rione Traiano sono drammatici. Nessuno può comprendere il dolore della famiglia di Davide Bifolco, e nessun elogio o pensiero potrà colmare il vuoto con cui dovrà convivere nei giorni a venire. Sulla vicenda nello specifico si dovrà fare chiarezza, le indagini andranno svolte con rapidità ed accortezza, senza superficialità, ed augurandosi che non ci sia nessuna interferenza o secondo fine, che la verità non venga distorta per convenienze e strategie, magari per salvare le apparenze, difendere le istituzioni, o giustificare l’ingiustificabile. Fino a che non avremo un quadro della situazione certo, comunque, i commenti saranno ingiusti e inevitabilmente incompleti.
Ed è con questa consapevolezza che leggo dichiarazioni di politici, scrittori, giornalisti, cittadini, insomma una valanga di persone che senza aver atteso l’esito di ricostruzioni attendibili, senza riflettere, e soprattutto senza sapere, vomita un abominevole numero di stereotipi, volgarità e cattiverie gratuite su Napoli, i suoi abitanti e le sue periferie. La sintesi degli sproloqui di tutti questi intellettuali, giuristi, filosofi improvvisati, è che viviamo in un Far West dove è uso comportarsi in modo illecito, dove si accetta con benevolenza la presenza della malavita, dove l’assenza di regole è (cito testualmente) un “tratto caratteristico” della nostra città, quasi pittoresco. Insomma la tragedia passa in secondo piano, a quanto pare adesso è il tempo di inveire contro una città che senza apparenti ragioni o cause, semplicemente per una sua essenza tipica e immanente, è la causa di morti insensate e di scenari tristemente macabri.
Leggo e rileggo questi pensieri a lungo, poi aspetto. Mi alzo dalla scrivania e faccio una passeggiata. Sono arrabbiato e non voglio scrivere niente istintivamente. Leggere certe cose fa veramente male, specie quando il dolore si aggiunge a quello di un episodio già di per sè lacerante.
Dopo aver atteso, dopo aver contato fino a cento, mille, dopo essermi calmato, dopo aver ragionato a lungo, con lucidità, mi chiedo quanti dei tanti finti moralisti dell’ultimo minuto hanno mai VISSUTO a Napoli, non visitato, si badi, altrimenti si cade nella trappola opposta e non ho intenzione di sprecarmi in una difesa campanilistica elencando pregi e bellezze della città. Quanti di loro hanno girato nelle periferie italiane, quanti hanno parlato con chi ci vive, ascoltato le loro opinioni, visto come SOPRAVVIVONO, DOVE sopravvivono. Napoli non è una città senza problemi, attenzione, ma non è l’inferno che viene dipinto in queste ore, e, dati alla mano, non ha difficoltà diverse da quelle di qualunque altra grande metropoli. Chi osa dire che Davide Bifolco era senza speranza, senza futuro, un condannato a priori solo perché viveva in un quartiere disagiato, è un imbecille, e lo dico con lucidità, dopo aver contato fino a cento, mille, dopo essermi calmato. Non si tratta con questo di reagire alla solita becera generalizzazione, ma di combattere contro pregiudizi radicati nella mentalità di chi tranquillo, al sicuro da tutto, ignora cosa accade a un tiro di sasso da casa propria. Nel Rione Traiano, così come a Scampia, nelle Salicelle di Afragola, nel Parco Verde di Caivano, ci sono innumerevoli persone che onestamente lottano non solo contro il degrado, ma contro l’abbandono, l’emarginazione, l’assenza TOTALE delle Istituzioni. Ciò che urge far capire a chi parla senza pensare, senza sapere, è che in questi quartieri ci sono bambini che stanno perdendo speranze, sogni, per colpa di chi pensa che loro sono colpevoli e non vittime, per colpa di chi non si chiede per quale ragione sono costretti a vivere senza servizi efficienti, senza nessuno che investa nelle loro capacità e nelle loro opportunità.
Molte di queste realtà, al Sud come al Nord, sono volutamente isolate da decenni: nessuna amministrazione agisce perché il ricatto dell’aiuto vale clientele, e le clientele rappresentano voti. Così ogni cinque anni le finte promesse si moltiplicano per poi essere puntualmente dimenticate, mentre organismi paralleli allo Stato prolificano senza ostacoli, speculando su difficoltà sociali ed economiche amplificate, rispetto a quelle che, in tempi di crisi, vivono tutti.
Ad un problema, come ad un qualunque disagio, c’è sempre una ragione; sarebbe il caso, dopo tanto tempo passato a puntare inutilmente il dito, di iniziare a lavorare per risolverlo, piuttosto che aspettare l’ennesima sconfitta di tutti, perché a perdere saremo sempre tutti, specie chi guarda da fuori con indifferenza, trincerato nel solito insignificante perbenismo.
Davide non lo conoscevo, ma se un ragazzo così giovane morisse in questo modo, non mi chiederei dove viveva o cosa faceva, quasi giustificando o ancor peggio accettando un orrore simile.
Mi direi che non possiamo e non dobbiamo permettere che riaccada.
Tutto qui, il resto è solo dolore.
Salvatore Salzano
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