James Foley, Steven Sotloff, David Cawthorne Haines: questi i nomi dei due giornalisti americani ammazzati in Siria. Le loro morti sono state diffuse attraverso tre video da 3/4 minuti circa, entrambi “messaggi all’America”. Basta un click per assistere all’orrore. Il boia è un membro dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), gruppo estremista talmente violento che persino Al Qaeda se n’è distanziata.
Tre uomini, che nei video appaiono inginocchiati nel deserto, completamente rasati e vestiti di una tuta arancione che ricorda Guantanamo, scelti per dimostrare al mondo la forza dirompente di individui che si esprimono attraverso la violenza. Nel primo video, quello dell’esecuzione di Foley, comparso il 19 agosto, viene inquadrato Sotloff e gli jihadisti affidano ad Obama il destino di quell’uomo. Nel video di Sotloff a sua volta, compare il reporter inglese David Cawthorne Haines, ultima vittima dell’organizzazione. Questioni di politica estera, di missili e di terrorismo, come spesso accade quando si parla di queste vicende. Se da un lato c’è la violenza, dall’altro c’è però il forte bisogno di verità. Uomini come Foley Sotloff e Haines alla verità, e alla sua ricerca, hanno dedicato una vita intera: la scelta di seguire un conflitto da freelance e non da embedded, ovvero seguendo un esercito, dimostra la passione e l’assoluta dedizione al proprio lavoro, che viene assunto a modo di vivere con coraggio e determinazione. Ed è curioso come quella violenza, manifestata nell’uccisione di uomini di stampa, sia fatta notizia mondiale e raggiunga lo scopo con cui è stata compiuta attraverso persone dello stesso mestiere delle vittime.
Chi fa informazione, e soprattutto chi la fa in territori di guerra, non conosce bandiera ma persegue soltanto il proprio scopo, quello di raccontare al mondo ciò che appare davanti ai propri occhi. Il giornalismo, quello vero, offre a ognuno di noi la base, la conoscenza dei fatti, su cui costruire le proprie opinioni in maniera libera: libertà che invece è stata negata ai due americani, sfortunatamente capitati sulla strada dei terroristi.
Foley chiedeva più tempo, per sé e per i propri cari, e certamente anche per raccontare. Sotloff invoca il presidente Obama e i punti del suo programma di elezione, il ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, e afferma con fermezza di essere un cittadino americano che paga l’interferenza del suo Stato nella politica di un altro paese; Haines, a sua volta, accusa il Primo Ministro inglese Cameron e la corrente dei premier britannici sempre accanto agli americani.
La guerra è combattuta da esseri umani, diceva Foley. Ma quando c’è guerra, e quando c’è orrore in questo modo, parlare di umanità è del tutto vano. Chi uccide diventa una macchina, chi subisce è solo parte della massa che viene identificata nell’ideologia nemica: si perde ogni dignità, sia di popolo che individuale. Stavolta, hanno perso la vita tre persone che cercavano proprio quell’umanità, o almeno quello che ne è rimasto.
Andrea Del Gaudio
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