Nel 1935 uno sconcertante fatto di cronaca spinse Frida Kahlo a mettere su tela “Qualche colpo di pugnale” : la cruda raffigurazione dell’omicidio di una donna uccisa dalla inarrestabile gelosia del marito. L’artista – ispirata dalle sue personali sofferenze e da una delle dichiarazioni dell’uomo che si difese davanti al giudice dicendo: “ma era solo qualche colpo di pugnale” – realizzò un’opera tanto significativa da essere considerata uno dei primi manifesti contro la violenza femminile.
Il 12 aprile scorso, nei pressi della discoteca “Victory”, la città di Vicenza ha fatto da sfondo ad un episodio drammaticamente simile. La venticinquenne Laura Roveri, infatti, è stata accoltellata per mano dell’ex fidanzato Enrico Sganzerla. Folle di gelosia, l’uomo – professionista quarantaduenne – ha martorizzato il corpo della ragazza con un coltello da cucina: sedici colpi di lama, di cui sette alla testa e uno al collo diretto alla trachea. Sopravvissuta alla brutale aggressione e ai colpi inferti ripetutamente, la giovane deve tutto al tempestivo intervento dei soccorsi sull’emorragia causata dalla rottura di una vena che aveva generato un ematoma sopra la nuca: esattamente dove era stata colpita dal suo persecutore. Un indubbio miracolo, ma non è abbastanza: Laura è colpevole di non essere morta. Sganzerla, infatti, rimasto in carcere fino al 7 giugno con l’accusa di omicidio colposo e premeditato, il 16 settembre scorso su disposizione del gip di Vicenza Dario Morsiani e l’assenso del pm, ha ottenuto i domiciliari presso l’abitazione dei genitori a Cerea a soli dieci minuti di strada da Nogara, dove risiede Laura. La perizia eseguita dal medico legale Giampaolo Antonelli, discussa presso il tribunale di Vicenza la scorsa settimana, è stata catalogata come forma di incidente probatorio in quanto nessuna delle coltellate è stata mortale.
Un esito aberrante per i familiari e la stessa Laura, la quale al termine dell’udienza ha dichiarato: “E’ ridicolo che ci sia un perito che dica che non ho rischiato la vita, io che ho rischiato di morire per ben due volte. Come ho fatto a non capire prima? Avevo paura di Enrico. Ero del tutto succube, in uno stato di soggezione tale che mi imponeva delle regole comportamentali e limitava la mia libertà, le mie frequentazioni. Mi controllava e mi faceva controllare da un investigatore. Ero così condizionata che non ho voluto dare ascolto ai miei amici che mi dicevano di lasciarlo; non ho avuto il coraggio di farlo perché temevo una sua reazione. La verità è che ero vittima delle sue molestie, ma solo ora ho aperto gli occhi e ne ho preso coscienza” . Coscienza nei confronti di un uomo che negli ultimi quaranta giorni, quando il rapporto tra i due aveva cominciato a vacillare, era diventato sempre più ossessivo.
“Quello che mi è accaduto in realtà non è altro che l’epilogo di una serie continuativa di violenze psicologiche e atti persecutori posti in essere da Enrico da molto tempo: subivo le sue condotte moleste e possessive, sempre più invasive nelle mia vita sociale e lavorativa, perché psicologicamente intimorita” – ha aggiunto poi Laura. I pesanti sms che Sganzerla aveva mandato alla venticinquenne poche ore dalla “spedizione punitiva” in discoteca, sono espressione del rancore e dello stato d’animo del quarantaduenne; messaggi che palesano la possessione di un uomo malato che non accetta di perdere definitivamente la fidanzata. Non aveva gli strumenti emotivi – probabilmente psicologici – per elaborare la fine del rapporto nel quale stavano crescendo radici malate: possedeva un’atroce dose di sadismo mescolata a una follia lucida e criminale che stava per culminare nell’ennesima strage.
Milioni di donne muoiono tutti i giorni: per intero, a metà, di notte e di giorno e sopravvivere con il timore che la tragedia possa essere del tutto compiuta perché i respiri esalati non sono stati gli ultimi è il più agghiacciante tra i finali di storia.
Serena Esposito
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La logica dell assurdo: colpevole diventa la donna violentata perché non ha avuto il buon gusto di morire….