Le feste e le tradizioni legate alla cultura popolare non stancano mai, costituiscono una risorsa culturale ed economica importante per ogni popolo consentendo a ciascuno di promuovere e valorizzare il proprio territorio locale. Scoprire più a fondo le vecchie radici significa, quindi, conoscere se stessi in relazione all’ambiente circostante in cui si vive.
Alle pendici meridionali del Massiccio del Partenio, adagiata in una verde valle, sorge il piccolo paese di Baiano, uno dei più antichi e suggestivi borghi irpini. In questa favolosa località, che si snoda tra collina e montagna, si svolge da anni un’antica tradizione carnascialesca. Varie sono infatti le tradizioni legate al carnevale che hanno origine, con molta probabilità, da antiche feste pancristiane e da arcaici rituali, correlati alla terra e ai rapporti con il mondo divino, all’alternarsi delle stagioni, dei cicli vegetazionali e dei ritmi del lavoro.
Il carnevale inteso come forma di spettacolo folkloristico nasce nel XVI secolo e trova come area di influenza l’Italia meridionale. Da ciò si evince come questo abbia assunto nelle varie città e paesi aspetti a dir poco peculiari e differenti. Il carnevale baianese, infatti, non risente solo dell’influenza irpinia ma anche di quella partenopea; basti pensare come quegli spettacoli itineranti quali “Mesi”, “la Zeza”, “il Laccio d’amore” e le varie tipologie di Tarantella, rispecchiano l’intera realtà regionale. Si tratta di forme di spettacolo in versi, recitate o cantate da persone comuni che smettono di indossare quelle maschere “serie” proprie della vita quotidiana e adottano quelle famose del sano divertimento che tutti conosciamo, divertimento che senz’altro si concretizza nel travestimento, nelle sfilate e nell’allestimento di carri allegorici. Fino a qualche tempo fa le tradizioni carnevalesche fondate sugli esempi appena menzionati, stavano per cadere nel dimenticatoio, ad eccezione di qualche rappresentazione realizzata nella città di Baiano negli ultimi decenni. Alla luce del fatto che la vera identità di un popolo risiede anche in questi aspetti folkloristici, talvolta sottovalutati, quello che si è cercato di fare è stata una rifondazione della rappresentazione, ricreandone le basi e cercare di unire le istanze passate con quelle moderne, connotandole di nuove chiavi di lettura.
Come afferma Francesco Alberoni, “Gli esseri umani hanno bisogno di una comunità in cui vivere, di radici, di una tradizione a cui ispirarsi. Hanno bisogno di sforzarsi, di spendersi, di lottare. Hanno bisogno di dedicarsi a un’idea, o alla patria, o alla famiglia, o all’arte, o alla politica, a qualcosa o a qualcuno che li trascende. L’individuo isolato è un fruscello in balia delle correnti, euforico quando ha successo e depresso alla prima difficoltà che incontra”.
O, ancora, Cesare Pavese, noto scrittore del Novecento: “Un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Conservare e rinnovare le vecchie tradizioni sarebbe un’azione assai importante per la nostra epoca; fornire un’immagine colorata e perché no, gioiosa del nostro Paese, potrebbe davvero risultare “la carta vincente” ai problemi che ci attanagliano ogni giorno.
Cleofe Borrillo
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