E se fosse accaduto a noi? – EDITORIALE

E se ci fossimo trovati noi al posto dell’Ucraina, cosa avremmo fatto?
Ci rifletto mentre mi confronto con una cara amica di Leopoli residente in Italia per lavoro.
La sua famiglia è lì: il fratello e il genero decisi a combattere e la figlia, insieme alla nipotina di pochi anni, in fuga verso la Polonia. Sono ore frenetiche, il cellulare squilla e gli aggiornamenti che sfuggono alle morse della propaganda e della disinformazione trasmettono in diretta il peso della cronaca.
Lei, lontana in un Paese straniero, osserva impotente la sua patria ferita, il crollo di ogni certezza e i sacrifici di una vita spazzati via.
È tanta la preoccupazione per i familiari rifugiati e per quelli coinvolti nella resistenza, così per i parenti più anziani che non hanno potuto o voluto allontanarsi da casa.
Ad un tratto la disperazione prende il sopravvento e si chiude in un pianto silenzioso.
Nelle sue lacrime rivedo quelle della mia bisnonna, quando – durante i racconti che condivideva con me – il ricordo tornava alla seconda guerra mondiale e all’indescrivibile sofferenza vissuta. Per lei oltre sessant’anni di pace non erano serviti a dimenticare il dolore, né a nascondere qualcosa di più profondo di semplici cicatrici.
Guardo la mia amica negli occhi lucidi, comprendo la sua rabbia, sento l’ angoscia travolgente che cerca di soffocare mantenendo il carattere riservato e composto che la contraddistingue.

Credo sia utile immedesimarsi ora nel popolo ucraino, specie se si è nati nella lunga epoca di pace dell’Europa unita, senza aver mai respirato il clima di tensione e divisione con cui hanno invece dovuto convivere i nostri genitori e nonni per larga parte del Novecento. Solo in questo modo possiamo comprendere cosa significa davvero essere costantemente minacciati da uno stato vicino molto più forte e attrezzato militarmente, che non riconosce la tua identità nazionale e arriva a ritenerti – ignorando lunghi percorsi storici e la tua stessa volontà – nulla più che una costola del suo territorio.
Nelle ultime ore le più orribili pagine di storia che abbiamo da sempre studiato e approfondito prendono forma trasmettendo nitidamente la drammatica portata degli eventi in corso.
Diventa chiaro, d’improvviso, che lo spettro della guerra è tornato a scuotere il cuore dell’Europa: più spaventoso, più pericoloso, più devastante dell’ultima volta.

Ecco allora che interrogarci su come avremmo agito nel ruolo dell’Ucraina aiuta a definire con maggiore attenzione la risposta risoluta che non possiamo esimerci dal dare all’invasore Putin.
Nessuna esitazione, timidezza o prolungata attesa può più essere consentita.
È necessaria una reazione esemplare e compatta da quanti più protagonisti possibili della comunità internazionale, perché sia indubbio che riconoscersi nella posizione di Kyiv vuol dire schierarsi a difesa di un sistema di diritto, di giustizia, di valori su cui noi tutti abbiamo costruito la nostra pacifica convivenza e il benessere che ne è conseguito.
Chi mette barbaramente a rischio questo stato di cose, al vergognoso e indicibile costo di vite umane, deve pagare con l’isolamento.

La responsabilità di passi decisi spetta in primo luogo a noi europei. L’ormai evidente premeditazione dell’attacco ha infatti vanificato in partenza ogni sforzo diplomatico, deriso in una sprezzante pantomima. Le sanzioni finora concordate con alleati e partner, per quanto ritenute massicce, non sembrano poter scalfire nel breve termine la posizione del Presidente Putin. Occorre dunque rimodulare il nostro intervento tenendo in considerazione ogni opzione, impegnandoci a creare corridoi umanitari per i profughi e ad essere pronti per nuove potenziali iniziative dell’esercito russo. Va affermato con fermezza il totale sostegno all’Ucraina, chiarendo che tollerare un simile gravissimo precedente significherebbe legittimare l’uso della forza in violazione della Carta delle Nazione Unite ed esporci a diffusi rischi futuri.
Nessun dialogo, a mio avviso, può essere avviato sotto la minaccia delle armi e alcuna proposta lesiva della dignità del popolo ucraino – mortificante le sue decisioni e lecite aspirazioni – può essere minimamente valutata, nell’incrollabile convinzione che una nazione indipendente e sovrana ha il diritto di determinare liberamente il proprio futuro.

L’attacco all’Ucraina, come già successo con l’annessione della Crimea nel 2014, richiama l’assoluta urgenza di affrontare in modo strutturale alcune preoccupanti vulnerabilità strategiche dell’UE: l’eccessiva dipendenza energetica da Mosca; la mancanza di una forza militare europea; una politica estera comune ancora troppo ingessata in procedure poco adatte a garantire interventi tempestivi in eventuali scenari di crisi. Solo rilanciando il processo d’integrazione in questi ambiti – superando sterili e anacronistici distinguo politici – possiamo scoraggiare il Presidente russo dall’intraprendere ulteriori azioni sconsiderate, spesso rivelatesi peraltro chirurgicamente pianificate in congiunture di massima incertezza politica per l’ Occidente. Non è infatti un caso l’inizio dell’escalation durante o a ridosso di decisivi appuntamenti elettorali in Europa, cui possono seguire instabilità, lunghi tempi nella formazione di nuovi governi e capacità di reazione limitata.

Con il passare delle ore aumentano tragicamente le vittime e i timori che la guerra possa estendersi ad altre aree.
Noi cosa avremmo fatto, senza la difesa della NATO e l’appartenenza all’UE, svegliati nella notte dalle sirene e dai bombardamenti nemici?
Penso che ci saremmo battuti per difendere la nostra libertà, strada per strada, città dopo città. 
Probabilmente avremmo chiesto aiuto e quasi certamente, proprio come il popolo ucraino, avremmo sperato fino all’ultimo che il resto del mondo non si chiudesse, indifferente, in una fragile illusione di sicurezza.

Salvatore Salzano

© Riproduzione riservata

 

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