Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si sa, è uno di quegli scrittori cui il fato ha imposto la sfortuna di non conoscere il proprio successo.
Caso questo, beffardo ma non inconsueto, che in Lampedusa si lega alla natura indubbiamente tardiva, breve e tuttavia intensa della sua stagione creativa. Nei due estremi anni della sua vita (1955-57), in effetti, non solo mise insieme gli otto capitoli de “Il Gattopardo”, gli ultimi del quale, il quinto ed il sesto, nacquero nell’inverno tra il ‘56 ed il ’57, ma anche alcuni racconti ed uno scritto di carattere autobiografico. Prima di questo periodo, dominato dall’urgenza della narrazione, lungo fu il suo letargo; si può dire che sia stato più lettore che scrittore, più letterato che narratore!
Certo anche per questo il Lampedusa romanziere è per noi legato indissolubilmente “Il Gattopardo”. Pubblicato nel ’58 da Feltrinelli dopo un’ alterna vicenda editoriale, premio Strega nel ’59, a fine anno aveva venduto cento mila copie; forse uno dei primi best seller della nostra letteratura. L’enormità di questo successo, non solo di pubblico, ha consegnato il romanzo alla storia della narrativa italiana ed alle antologie scolastiche, e rende superfluo interrogarsi sulla qualità dell’opera, che d’altronde è attestata da quanto “Il Gattopardo” sia a tutt’oggi amatissimo, non solo in Italia.
La domanda che ancora rimane in piedi invece è se il Lampedusa scrittore debba essere considerato l’autore di un libro solo, se a lui sia riservata la sorte che è di molti (vedi Bram Stoker) o se invece, negli esigui altri passaggi della sua produzione letteraria non si possano rintracciare lucidità di stile, intelligenza nella narrazione e profondità di ispirazione tali da permetterci di accantonare, anche solo per un istante, la presenza a suo modo ingombrante de “Il Gattopardo”.
In questo senso può essere interessante considerare alcuni racconti, anch’essi come detto figli della stagione creativa di Lampedusa, pubblicati da Feltrinelli nel 1961.
Si tratta di un libriccino che ricomprende tre novelle ed un capitolo di memorie.
Il volume si apre con “Il mattino di un mezzadro”, che, impossibile non dirlo, è quello dei racconti che più si avvicina come materia a “Il Gattopardo”; è ancora la storia dell’evoluzione della società siciliana, raccontata attraverso casa Salina nelle generazioni successive a quella di don Fabrizio Corbera. Anche qui gli uomini nuovi (si chiamano Ibba non Sedara) sono ambiziosi, gretti, spregiudicati. Dall’altra parte c’è la vecchia classe disfatta dei nobili, incapaci di arginare validamente l’ascesa dei nuovi padroni, contenti di risolvere la contesa con il senso di superiorità, con i pettegolezzi, con l’ironia più grossolana. Attoniti, esterrefatti come don Fabrizio d’innanzi al frack di don Calogero! Il racconto, pare, avrebbe dovuto rappresentare il capitolo iniziale di un nuovo romanzo :”I gattini ciechi”, e tuttavia regge validamente anche così, come cosa a se stante. Certo la materia ci impedisce di proiettarci al di fuori de “ Il Gattopardo”, anzi è chiaro che siamo in presenza di un sequel, tuttavia le pagine del racconto non sono per nulla inferiori al romanzo. La minore consistenza e quindi il minore approfondimento dei personaggi sono un puro accidente, non in grado di intaccarne la qualità.
Segue “La gioia e la legge”, raccontino brevissimo, i cui personaggi sono poco più che abbozzati. Lo scritto, lontano dall’autobiografismo, evidenzia la versatilità narrativa di Lampedusa nell’affrontare temi e ambienti lontani dal resto della sua opera. Non più l’aristocrazia in declino di fronte all’ascesa borghese, ma il mondo umile degli impiegati. Al centro della narrazione infatti è Girolamo, impiegato povero in lotta mortale con le difficoltà quotidiane, cui viene assegnato dalla sua azienda, a lui solo tra gli impiegati, un gargantuesco panettone :”premio, attestato di merito, prova di considerazione”. La storia segue l’altalena emotiva di Girolamo, nello scontro tra la gioia del riconoscimento, forma di felicità anche spirituale, e le dure ragioni della Legge. Non la Legge dello Stato, ma la Legge dell’onore:“Legge emanata dai cappellai intemerati”.
Chiariamoci: la figura di Girolamo, e le persone che lo contornano, mancano di sostanza. Questo antesignano di Fantozzi è più un fantoccio che una persona; “Persone, non personaggi” andava predicando Ernest Hemingway, “Il personaggio è una caricatura!”. Tuttavia niente ci impedisce di godere di questa caricatura, ed in effetti il racconto è divertentissimo. In esso più che in ogni altro passaggio, Lampedusa ci dimostra le sue qualità come umorista, svolgendo la storiella di Calogero con il massimo di quell’ironia indulgente che ha riservato ad altri, forse più elaborati, suoi personaggi.
Terzo e certamente più importante tra i racconti è “Lighea”, scritto nel ’56 dopo una gita che Lampedusa compì, nell’agosto di quell’anno, lungo la costa meridionale della Sicilia. La lunga narrazione è formata in realtà da due racconti, uno inserito nell’altro. Il primo rappresenta la cornice, realistica, del secondo, che invece ha carattere fantastico, descrivendo una situazione che sfugge ai canoni riconosciuti della ragione: l’amore tra un uomo ed una sirena. Una parentesi, vivida, di realismo magico!
Chi racconta è ancora un personaggio possibile de “Il Gattopardo”, un discendente dei Corbera di Salina. Si trova a Torino (siamo nel 1938), è un redattore de “La Stampa” ed abita in un piccolo alloggio in via Peyron. Ma non sarà lui il protagonista; per conoscerlo occorre aspettare che Corbera faccia conoscenza con il senatore Rosario la Ciura, ordinario di letteratura greca all’università, conosciuto in tutto il mondo. E’ questo il vero personaggio formidabile dell’intera raccolta: da giovane, in un’estate siciliana infernale e torrida, mentre prepara un terribile concorso per la cattedra universitaria di letteratura greca, trova requie in una casetta solitaria, vicino al mare, dove raggiunge uno “stato di incantazione che lo predispone al prodigio”. Mentre il giovane declama i versi degli antichi poeti e “i nomi di quegli dei dimenticati sfiorano di nuovo la superficie del mare” il prodigio si compie davvero, ed appare una sirena: “Sono Lighea, son figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto”. E’ questo il preludio ai venti giorni determinanti per l’intera vita del giovane studioso, tanto durerà l’amore con la Sirena, questa figlia di Calliope : “All’oscuro di tutte le culture, ignara di ogni saggezza, sdegnosa di qualsiasi costrizione morale, essa faceva parte tuttavia della sorgiva di ogni cultura, di ogni sapienza, di ogni etica, e sapeva esprimere questa primigenia superiorità in termini di scabra bellezza”. Assaporato l’amore della Sirena, il senatore non potrà gustarne altro. L’incontro con l’Immortale gli lascerà dentro un desiderio di immortalità, destinato a trasformarlo in un vagheggiatore della Morte, del Nulla.
Chiude il libro “I luoghi della mia prima infanzia”. Scritto già a partire dal ’55, rappresenta forse il primo vero tentativo di Lampedusa scrittore. Elaborato per uso privato, come una commemorazione alle due case, entrambe perdute, nelle quali aveva passato la gran parte dell’infanzia, questa narrazione dei luoghi del passato è comunque di estrema suggestione. I lettori che hanno letto ed amato “ Il Gattopardo” si divertiranno nel rinvenire le connessioni tra i luoghi, e finanche i protagonisti dello scritto , e quelli del romanzo che ha reso Lampedusa conosciuto in tutto il mondo. E’ un gioco che non vale la pena di svelare! Per i pochi che non hanno letto “Il Gattopardo” e per i pochissimi che non l’hanno amato, lo scritto è comunque un piccolo scrigno, un pezzetto delicato ed armonioso di bravura letteraria.
In definitiva credo sia stata data risposta alla domanda originaria. I racconti sono una goccia di splendore! Ci testimoniano che, per quanto condizionante sia l’ombra de “Il Gattopardo”, Tomasi di Lampedusa riesce ad esistere anche al di fuori di esso, e questo nonostante la brevità del suo tempo come scrittore. Anche nei racconti possiamo ritrovare l’intelligenza, la conduzione armonica della narrazione, l’umorismo sempre raffinato e la profondità di ispirazione e passioni che ci hanno fatto amare il suo capolavoro più conosciuto.
Hop-Frog
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