Discutere dell’immigrazione in periodi critici come questi è un compito sicuramente non semplice, sia per chi si appresta a scrivere per informare, sia per chi semplicemente sente il bisogno di esprimere la propria posizione in merito.
Molto spesso dopo aver assorbito passivamente le notizie di cronaca qui e lì. Perché dal momento in cui l’ennesimo giornalista posa penna sul foglio, dalle coste nordafricane parte l’ennesimo barcone. Nel momento in cui il blogger dell’ultim’ora riscalda la tastiera, una famiglia sta attraversando il Sahara in furgone, insieme ad altre decine di famiglie. E mentre il politico di turno tiene la sua conferenza stampa, qualcuno giace supino a pelo d’acqua.
L’immigrazione clandestina in Italia tramite sbarchi ha subito un incremento record: 823% solo nei primi quattro mesi del 2014. Attraverso la fascia centrale del Mediterraneo sono passati oltre venticinquemila migranti, contro i quarantamila dell’intero 2013. Non c’è da stupirsi quindi se Sicilia, parte della Puglia e le coste della Grecia sono ormai punto di sbarchi quotidiani. In particolare tutta la nostra penisola rappresenta geograficamente un ponte per raggiungere tutta l’Europa Centrale. Gran parte degli stessi migranti provenienti dall’Africa, e che approdano molto spesso a Lampedusa, hanno le idee chiare: sanno bene della situazione economica italiana e della penuria di strutture di accoglienza. È solo un punto di passaggio dunque, poiché le mete predilette sono Germania, Olanda, Svezia e Francia; quest’ultima sopperisce anche alla distanza linguistica per tutte le popolazioni provenienti dall’area maghrebina e gran parte dell’Occidente africano. Mentre Hollande e Merkel marciano con linea dura, l’Italia cerca appoggi concreti da parte dell’UE e sembra intenta a districare la matassa del disagio degli isolani di Lampedusa, delle strumentalizzazioni politiche ad “ambo i lati”, e in genere del pregiudizio cavalcante nei confronti di altri temi legati quali multiculturalità, cancellazione del reato di clandestinità e ius soli.
Pochi Italiani ormai si concedono lo sforzo del proiettarsi in un uomo che ha perso tutto e che fugge dalla povertà, da politiche di regime e guerre che imperversano. Quest’ultima è proprio la causa principale dell’incremento degli sbarchi a partire dalla fine del 2010 e l’inizio del 2011, periodo a cui si fanno risalire i primi tumulti che hanno portato alla Primavera Araba. Anni addietro l’Italia aveva visto entrare dall’Adriatico le popolazioni colpite dalla guerra del Kosovo; ora in netto aumento invece i profughi messi in ginocchio dal conflitto siriano.
Arrivare in Italia è un’impresa molto spesso dai risvolti tragici, ancor di più se si scava a fondo in merito all’organizzazione parallela delle tratte. Secondo alcuni rapporti internazionali, gli sbarchi sono soltanto l’ultimo step di una vera e propria filiera tenuta in piedi da organizzazioni criminali che si configurano come delle grottesche agenzie viaggi. Questa “industria” coinvolge cellule criminali del centro e nord Africa residenti in Italia ed organizzazioni mafiose. Coloro che sono impegnati in sodalizi di questo genere, tengono un profilo basso, ma comunque si occupano anche di connettere il traffico di immigranti col traffico di stupefacenti. Le cifre macinate sono da capogiro: le stime del 2013 indicano un ammontare di circa cento milioni di euro, un giro di affari che si sta progressivamente piazzando dopo il narcotraffico, in merito ad attività illecite internazionali. Oltretutto non è raro che durante parte del viaggio via terra per le coste del Maghreb, i profughi subiscano angherie dalla polizia di frontiera e da veri e proprio gruppi di predoni senza alcuno scrupolo.
Il problema degli sbarchi è quindi solo un pezzo del puzzle, e il fenomeno sembra non accennare a fermarsi. Risorse l’Italia ne ha ben poche: scarsità di strutture di accoglienza e politiche interne ed esterne alquanto discutibili: il caso Marò e le vicende Shalabayeva ne sono un esempio.
La nostra penisola è stata da secoli un fantastico crocevia di culture che ne hanno arricchito la nostra, ed il Mediterraneo ha consentito tutto questo. Come molti altri, non si può non auspicare una presa di coscienza e delle politiche concrete da parte dei governi e dell’UE, affinchè il Mare Nostrum possa tornare a far parlare di se’ in circostanze non più drammatiche.
Gioacchino D’Antò
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