Siamo tutti Charlie Hebdo

La strage avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo la mattina del 7 gennaio non è stato solo l’ennesimo atto di terrorismo compiuto da esponenti dell’estremismo islamico, ma è stato un vero e proprio attentato alla libertà d’espressione.

Questi i fatti: poco dopo le 11 due uomini incappucciati e armati di kalashnikov irrompono nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e, al grido di “Allah è grande” e “abbiamo vendicato il profeta”, aprono il fuoco sui giornalisti in quel momento in riunione mattutina.

Cinque minuti di interminabile barbarie, in cui perdono la vita otto componenti della redazione, il direttore del settimanale Stephan Charbonnier,

Il direttore di Charlie Hebdo, Stephan Charbonnier (detto Charb)

Il direttore di Charlie Hebdo, Stephan Charbonnier (detto Charb)

detto Charb (immagine a fianco), il portiere dello stabile, un ospite della testata e due agenti (un video amatoriale che ha fatto il giro del mondo mostra l’esecuzione a sangue freddo di uno di loro).

Dopodichè ha inizio la fuga.

Vengono mobilitati addirittura 88.000 uomini appartenenti a diverse forze speciali per la ricerca dei fuggitivi in un’ impressionante caccia all’uomo.

Ma cos’è Charlie Hebdo e perché è stato vittima di questi estremisti islamici?
La rivista satirica Charlie Hebdo, dalla sua fondazione in questa forma nel 1969, ha sempre preso di mira indiscriminatamente tutte le istituzioni politiche, culturali e religiose, schierandosi sempre a favore delle libertà individuali (più propriamente, quella di espressione).
Tra tutte le sue discusse vignette caustiche, ricordiamo quella che probabilmente ha scatenato l’odio di quella frangia estremista dell’Islam: è il 2 Novembre 2011, quando la redazione di Charlie Hebdo viene distrutta dal lancio di alcune molotov appena prima che l’edizione odierna del giornale arrivasse nelle edicole.

La controversa vignetta che recita “100 colpi di frusta se non siete morti dal ridere"

La controversa vignetta che recita “100 colpi di frusta se non siete morti dal ridere”

Il numero in questione, dedicato alla vittoria alle elezioni del partito fondamentalista islamico in Tunisia, riportava in prima pagina una caricatura di Maometto inneggiante alla diffusione dell’ironia anche nei paesi islamici, e con il titolo del settimanale modificato in “Charia Hebdo”, gioco di parole tra il titolo originale e la Shari’a, la legge di Dio riportata nei testi sacri islamici. (immagine a destra)

Le reazioni di tutto il mondo all’azione terroristica non sono tardate ad arrivare: non solo a Place de la République a Parigi, ma in tutto il mondo si sono riunite decine di migliaia di persone nelle piazze a manifestare la loro solidarietà nei confronti delle famiglie delle vittime e, principalmente, a rivendicare la libertà di espressione con un semplice gesto: levare al cielo una matita o una penna, esponendo cartelli e striscioni con la scritta Je suis Charlie”.

L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo apre uno scenario inquietante sul rispetto della libertà di espressione: è inconcepibile che, in nome di una qualsivoglia dottrina, si possa ammettere uno spargimento di sangue per qualche vignetta di chiaro stampo satirico, pubblicate coerentemente con le linee guida di un settimanale ora mutilato del direttore e diversi collaboratori.
Non concordare con le modalità di trasmissione di un messaggio è assolutamente giusto e nel pieno potere di un lettore; ma fare una strage rivendicando il compimento di una vendetta religiosa è puro fanatismo.

Io sono Charlie Hebdo.
Il Movimento Culturale Ideelibere è Charlie Hebdo.
Siamo tutti Charlie Hebdo!

© Riproduzione riservata

    Gianluca D’Andrea

 

 

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