Per me, giovane nata negli anni ’90, questa realtà, questa libertà, è sempre esistita. Non ho mai avuto nessun tipo di difficoltà a muovermi all’interno del continente eppure questa libertà, ora, sembra mi voglia essere preclusa.
I continui sbarchi di migranti dal continente africano (dalla Libia verso le coste italiane e dal Marocco verso la Spagna) e dalle coste turche verso la Grecia stanno mettendo in serio pericolo l’equilibrio che si era faticosamente costruito tramite il trattato di Schengen (dal nome della città lussemburghese in cui il documento è stato firmato). Ma di cosa è realmente fatto l’accordo?
Firmato originariamente nel 1985 da Germania, Francia e Benelux (Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio) per permettere la libera circolazione delle persone, nel tempo ha raccolto sempre più firmatari fino a raggiungere la composizione attuale: 26 Stati, di cui 22 membri dell’UE e quattro esterni all’Unione, cioè Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. La sua reale attuazione, però, risale al 1996.
Il documento prevede tra i vari punti:
1) la responsabilità da parte di ciascun Paese che si trova lungo la frontiera dell’area di effettuare controlli severi per evitare qualsiasi rischio per le altre Nazioni e di assegnare gli eventuali visti temporanei.
2) la creazione della Sis (Sistema di informazione Schengen) per la condivisione dei dati nella lotta alla criminalità e al terrorismo.
3) inseguimento transfrontaliero da parte della Polizia in un altro Stato Schengen di un sospetto in caso di flagranza di reato ritenuto grave. Per maggiori informazioni
Ovviamente quello che lega gli Stati tra loro è un forte senso di fiducia che tuttavia non prescinde da un sistema di controllo dell’operato delle varie Nazioni nell’applicazione delle norme di vigilanza. Questa valutazione è pluriennale (ogni 5 anni) ed annuale e prevede delle ispezione con o senza preavviso da parte di una commissione di esperti, appositamente formati ed indicati in maniera neutrale. Sulla base dei risultati ottenuti dall’analisi dei rischi e dalle ispezioni, la commissione d’esperti procede alla stesura di un rapporto finale. Si può semplicemente inviare una raccomandazione, oppure, nel caso di gravi carenze o negligenze nell’adempimento degli obblighi, si presenta un piano d’azione per colmarle.
E’ in seguito al fenomeno della Primavera Araba (2011), che ha portato alla destabilizzazione dell’area del nord Africa (in special modo della Libia e dell’Egitto con il proliferare di gruppi di guerriglieri votati all’estremismo islamico), e allo scoppio della guerra in Siria (anch’essa nel 2011), che grandi flussi di migranti stanno mettendo in serio pericolo questo sistema di libera circolazione, tanto da spingere tutti i Paesi europei a reintrodurre la possibilità di porre nuovi controlli alle frontiere interne.
E’ così allora che assistiamo a scene di disperazione al confine tra Serbia ed Ungheria in seguito alla decisione del governo di Budapest di costruire letteralmente un muro tra i due Paesi. Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Francia, Paesi Bassi e Danimarca hanno seguito lo stesso esempio ristabilendo i controlli lungo le frontiere più sensibili.
Non è un caso che la maggior parte degli Stati ad aver rafforzato i propri confini siano dell’est Europa. Secondo gli ultimi dati forniti dalla settima relazione semestrale sul funzionamento dello spazio Schengen Novembre 2014-Aprile 2015 la via attraverso la penisola balcanica sarebbe quella maggiormente attraversata dai gruppi di migranti per raggiungere l’Unione Europea, mentre seconda risulterebbe essere quella nel Mediterraneo centrale verso l’Italia.
In un periodo storico così travagliato, come quello che stiamo vivendo, con il rischio di continui attentati (come quello a Parigi, oppure nell’Università in Kenya, o ancora a Jakarta) il timore, la paura ci stanno portando sempre più a chiudere le nostre porte, a rifugiarci dietro le barricate. Dovremmo capire, invece, che è l’unione a renderci forti, il rispetto per quello che siamo, per la nostra cultura, le nostre tradizioni che ci identificano e che devono fungere da elemento di coesione in un’Europa così eterogenea ma mai così bisognosa di unità.
Martina Shalipour Jafari
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